Beata Lucia da Narni

a beata Lucia da Narni è un personaggio che sta riemergendo da un prolungato oblio popolare. Negli ultimi decenni non sono mancati convegni di studi tenuti da agiografi pronti a scrivere e a parlare di lei, tuttavia, a Narni, il suo nome continua ad evocare semplicemente la donna rinascimentale, terziaria domenicana stimmatizzata, giunta alla gloria degli altari, e un orfanotrofio a lei dedicato; per il resto la sua persona sembra avvolta nel mistero, nelle dense nebbie del passato.
Chi, visitando la cattedrale, non ha sostato in preghiera presso l’urna che custodisce il suo corpo? Ma quanti sono indotti, aiutati, ad accostarsi alla sua anima? Al segreto della sua santità?
Lo scopo di questa modesta pubblicazione vuole essere quello di divulgare, con stile semplice e chiaro, le vicende rilevanti della sua vita e i tratti essenziali della sua spiritualità; nello stesso tempo si vuole proporre al lettore la ricerca del vero bene nella speranza di conseguirlo.
Lucia Broccadelli, come Francesco e Chiara d’Assisi, come Iacopone da Todi e Angela di Foligno, è giunta alle altezze sublimi dell’unione mistica con Dio e a mirabili opere di carità nella vita sociale, è stata madre spirituale e consigliera del Duca Ercole I in una delle corti più note d’Europa, quella estense. In lei possiamo ritrovare le tracce di un fulgido passato e l’occasione per un itinerario da percorrere singolarmente e comunitariamente.
Come tutti i Santi ella è Vangelo vissuto, scritto dallo Spirito e letto da tutti. Purtroppo la scarsità di fonti storico-biografiche e la scomparsa del preziosissimo manoscritto contenente la sua esperienza mistica, impediscono ai devoti di leggere i suoi scritti e di confrontarsi direttamente con lei nel cammino della fede verso il raggiungimento della piena maturità in Cristo. Per colmare in qualche modo questa lacuna, attingerò alla più antica biografia esistente, scritta dal Domenicano Giacomo Marcianese e pubblicata a Ferrara nel 1616, settant’anni dopo la morte della Beata Lucia. Egli ebbe occasione di frequentare il monastero di Santa Caterina da Siena, fondato a Ferrara dalla domenicana narnese, e consultò attentamente i documenti autografi che le consorelle gelosamente custodivano; per questo mi sembra che il Marcianese sia il testimone più autorevole. Nel proemio della sua opera, rivolgendosi ai lettori, afferma di essersi impegnato a riproporre, ordinatamente, “quanto con autentichezza nelle suddette scritture d’essa Beata s’è ritrovato” usufruendo anche della consultazione di tutti i “quinterni, fogli, bolle, instrumenti, in diversi tempi, e da diverse persone scritti, e fatti” su di lei.

La Vita
Lucia Broccadelli nacque nell’antichissima città di Narni, in Umbria il 13 dicembre 1476, da Bartolomeo Broccadelli e da Gentilina Cassio. I primi dati biografici potrebbero stupire: ricevette fin dall’età di tre anni favori divini e grazie straordinarie. Gli esperti di spiritualità non si meravigliano di ciò;molti mistici furono arricchiti in tenerissima età di visioni e di locuzioni interiori. 
A questi epifenomeni i grandi contemplativi della storia non hanno mai dato eccessiva importanza. Gli esempi che si potrebbero fare sono innumerevoli. È notevole il caso di San Nicola da Flüe (1417 – 1487), celebre per le visioni di cui godette fin da bambino. Dichiarava egli stesso di averne avute già nel grembo materno e assicurava di aver conservato ricordi precisi della sua nascita e del suo Battesimo. Crebbe equilibratissimo, attivo e intraprendente, rimase laico, fu un ottimo marito, ebbe dieci figli, prese parte alla vita politica del suo Paese (l’attuale Svizzera) e lottò contro la tirannide austriaca, suscitando in quanti ebbero la fortuna di conoscerlo stima e ammirazione.
Anche la grande Ildegarda di Bingen, mistica tedesca del XII secolo, nelle sue opere si lascia andare a continue divagazioni riguardanti le grazie mistiche di cui venne favorita in fanciullezza, Scrive: “All’età di tre anni ho visto una tale luce che la mia anima ne è stata scossa, ma a causa della mia età non ho potuto dirne niente. All’età di otto anni sono stata data a Dio come offerta spirituale e fino a quindici anni ho visto molte cose e le raccontavo a volte in tutta semplicità, tanto che coloro che mi ascoltavano si domandavano da dove venisse e cosa fosse tutto questo. E io stessa me ne stupivo nella mia anima e, siccome vedevo che non accadeva a nessun altro, ho nascosto sinché ho potuto le visioni che avevo nella mia anima.”
La Beata Lucia, allo stesso modo, fin da “bambinuccia” – narra il Marcianese – ebbe visioni. Le appariva Santa Caterina da Siena, San Domenico, Maria Santissima e Gesù Bambino, che ella usava chiamare familiarmente “Christarello”. In tenera età decise di consacrarsi a Dio e di volergli rimanere fedele per tutta la vita.
Nel 1490, un grave lutto colpì la sua famiglia: morì il padre, Bartolomeo. L’anno successivo, quando Lucia aveva solo quindici anni, la madre e gli zii la obbligarono a sposare il Conte Pietro di Alessio, milanese. A nulla valsero i suoi rifiuti; ella dovette cedere alla caparbia insistenza dei suoi parenti, soggetti probabilmente alle pressioni del nobiluomo, perdutamente innamorato di lei.
La negazione del suo diritto di scelta le causò una penosa malattia e solo dopo un’apparizione rassicurante della Vergine indusse Lucia ad accettare la mano del Conte Pietro. La sua nuova condizione sociale e la disponibilità finanziaria permisero l’esercizio della carità e l’aiuto dei bisognosi. Tutti la chiamavano la “madre dei poveri”.
Rimase con il marito tre anni. Questi l’amava teneramente e inizialmente rispettò il suo voto di verginità, sperando di vincere con l’affetto la resistenza della giovane moglie. Col tempo, però, la separazione divenne insopportabile e il conte, irritato, rivendicò i suoi diritti di sposo, dapprima con le richieste, poi con minacce, infine con l’uso della forza e con severi castighi, arrivando persino a rinchiuderla.
Nel giorno della Resurrezione del Signore del 1495, avuto il permesso di comunicarsi per la Messa solenne di Pasqua, Lucia fuggì dalla casa del Conte Pietro per non ritornarvi mai più. Sentendosi libera, giunse a Roma, accolta dalle Terziarie Domenicane, che allora erano dette Bizzoche o Beghine e che facevano vita comune in un palazzo della zona del Pantheon, oggi sede del Pontificio Seminario Francese. Rivestita dell’abito domenicano nel giorno dell’Ascensione del 1494 (l’8 maggio), diventò presto modello per le consorelle e centro di unione per la comunità. Ma, intanto, sembrava volesse vendicarsi e nuocere al convento, appellandosi a persone influenti e utilizzando le amicizie potenti che egli aveva nella Curia Romana. Per questo motivo si giudicò opportuno mandare Lucia a Viterbo, nel convento di S. Tommaso.
La sua presenza in città impresse subito una spinta di rinnovamento spirituale. Le sue estasi e la fama della sua sanità attirarono su di lei l’attenzione di molti. La notte del 25 febbraio 1496, durante il mattutino del Venerdì, ricevette le stimmate che furono più volte controllate da medici e teologi. Tutti rivedono in lei i prodigi e le virtù della grande santa domenicana da lei tanto amata e venerata, Caterina da Siena.
Con le sue preghiere Lucia ottenne dal Signore un’ulteriore grande grazia: la miracolosa conversione del marito. Di lei si cominciò a parlare nel resto del Lazio, a Roma, in Umbria e la sua fama giunse fino a Ferrara. La perfezione della Beata e le stimmate interessarono il vecchio duca di Ferrara, Ercole I d’Este (1431 – 1505) che chiese al Papa Alessandro VI l’invio di lei a Ferrara, come sua consigliera. Fu accolta festosamente il 7 maggio 1499 e, per lei, il duca fece costruire nel 1501 il Monastero e la Chiesa dedicata a S. Caterina da Siena.
Il numero delle religiose presto crebbe, al punto che, il giorno dell’inaugurazione dell’edificio monastico, la comunità già contava 72 suore, giunte da Viterbo, da Narni e da Ferrara. Il Papa plaude all’iniziativa del duca e con il breve di erezione del monastero riconosce Lucia da Narni come la diletta figlia che si studia di imitare S. Caterina da Siena e la nomina priora. La sua personalità spirituale e il suo ascendete richiamano in parlatorio gli appartenenti ad ogni ceto sociale; personaggi della corte ducale e contadini, poveri e ricchi. La sua sapienza illuminata e il suo carisma di discernimento stupiscono. L’abbondanza di vocazioni permette la fondazione di monasteri affiliati.
Quando però, nel 1505, il duca Ercole I morì, furono tolti alla Priora certi privilegi. Venne accusata di eccessiva durezza ascetica dalle consorelle, le quali mal sopportavano la radicalità evangelica della loro priora e Suor Lucia fu dimenticata, posta nell’ombra. Trascorsero così 39 anni di continue e nascoste sofferenze eroiche, sopportate santamente, in una comunità che la guardava con diffidenza e freddezza. Quel lungo supplizio fu l’ultima offerta d’amore che Lucia fece al suo Sposo divino, in spirito di perfetta letizia, come insegna San Francesco. Il 15 novembre 1544, dopo aver chiamato a sé le consorelle e aver chiesto loro perdono, ricevette i Sacramenti. Pregò poi il Cappellano di rimanere vicino a lei, sentendo che di li a poco si sarebbe addormentata nel Signore.
Dopo la sua morte, i cittadini di Ferrara affollarono la chiesa per volgere l’ultimo sguardo alle sembianze composte di una donna che diffuse intorno a sé il profumo della santità di Cristo.


La spiritualità della beata Lucia

Il contesto storico
Prima di presentare l’esperienza della Beata Lucia devo fare necessariamente una digressione e accennare al ruolo della donna nel tardo medioevo europeo. Nel corso del XIII secolo nacquero nuove esigenze potremmo dire “laicali” – di spiritualità e sorse un nuovo movimento religioso popolare a cui parteciparono, numerosissime, le donne.
Si formo una sorta di terza via: le donne si consacravano a Dio nel mondo. Ebbero origine ovunque, soprattutto nel Nord Europa, i movimenti delle beghine. Erano donne che vivevano, in piccole comunità, una vita evangelica di povertà e di castità, senza voti e sostentandosi col proprio lavoro. Gli storici dell’epoca narrano che, solo nella città di Colonia, il loro numero era di diverse migliaia.
La gerarchia ecclesiastica guardava con diffidenza a questa nuova spiritualità laicale, non istituzionalizzata. L’autonomia dei laici, e la forte sottolineatura interiore, contemplativa, personale, della vita, era considerata pericolosa. In effetti, alcuni di questi movimenti religiosi sconfinarono nell’eresia. Tuttavia la maggior parte di essi dette il via ad una sorta di “liberazione della donna” e ad un grande rinnovamento spirituale, rimanendo nell’ortodossia.
I sospetti della Chiesa condussero alcuni vescovi e predicatori a denigrare le beghine e ad apostrofarle con epiteti dispregiativi, la cui accezione negativa è giunta fino a noi. Così, per evitare difficoltà, si cercò di convogliarle tutte nei “Terzi Ordini”, movimenti di vita cristiana laicale che offrivano più garanzie, perché dipendenti dagli Ordini mendicanti (Francescano, Domenicano). Il ‘300 e il ‘400 furono secoli densi di problemi politici e religiosi, ma anche secoli di rinascita della cultura e delle arti, dove le donne trovarono il loro spazio, perché libere di esprimersi e di operare in vari campi. In questo periodo umanistico cominciò ad essere curata l’educazione e l’istruzione delle fanciulle.
In tale epoca visse la nostra Lucia. Anch’ella, come tutte le figlie della borghesia rinascimentale, ricevette una buona formazione letteraria; dalla biografia sappiamo che ebbe contatti con le beghine a Roma e a Viterbo, vestì l’abito del Terz’Ordine domenicano, fu accolta con tutti gli onori in uno dei centri culturali più raffinati d’Europa, la corte estense. È NOTO CHE Ferrara, fin dagli inizi del XV secolo, si avviava a divenire centro umanistico e artistico destinato a improntare stabilmente la civiltà letteraria e figurativa italiana. La corte era aperta alla nuova cultura; letterati ed artisti vi convergevano e, per soddisfare alle esigenze dei membri della famiglia ducale, grandi umanisti vi furono presenti, spesso in veste di educatori.
Questa donna beata rifletteva il tono intellettuale dell’ambiente cortigiano in cui era stata introdotta ed una spiritualità particolare, detta allora “moderna”, devotio moderna, che si proponeva una severa riforma della vita religiosa popolare, ponendo l’accento sull’interiorità. La pietà era tutta “interiore” , “intima” , “profonda” . Purtroppo nel mondo contemporaneo si abbina al termine “intimo” la nota sentimentale acquista nel Romanticismo e al termine “introverso” viene data una connotazione psicologica e non spirituale, estranea all’esperienza dei grandi contemplativi rinascimentali.

L’esperienza personale 
L’unione affettiva, intima, con Gesù introdusse l’anima di Lucia Broccadelli nell’unione sponsale con la Deità. Dall’intimità col Verbo Incarnato, suo Christarello, vissuta in età infantile, ella giunse alle nozze spirituali, descritte utilizzando abbondantemente il vocabolario e le immagini del Cantico.
Molte volte, mentre era (rapita) in spirito,… Le pareva di star vicina a un gran fuoco, e diceva di non poter sofferir si gran calore… In queste estasi ragionava col suo Sposo Gesù Christo; ringraziava Iddio de’ molti doni a lei concessi; e diceva queste parole: Signor’e Dio mio, chi sei tu, e chison’io. Tu il Sommo Creatore dell’Universo, Tu Somma Bontà, e io gran peccatrice; quando poi le pareva, che Christo si partisse da lei, gli addimandava la sua Santa benedizione; quando ragionava con Christo, lo chiamava Dolcissimo Maestro, e Sposo; dimandava S. Domenico dolcissimo Padre, la Beata Vergine dolcissima Madre, Santa Caterina da Siena dolce Madre…”
Questo cammino di confidente comunione col Cristo fu segnato, la notte del 25 febbraio 1496, dalla grazia delle stimmate. Il Marcianese, nel suo libro riporta la seguente attestazione: “ …tramortita, stette per gran spazio di tempo fuor di se stessa… e pareva morir d’affanno; di questo accortasi Suor Diambra prese le sue mani, e vidde, ch’in mezo, l’ossa parevano tirate de’ fuor de’ suoi luoghi, e i nervi distorti; onde domandolla, che cosa havesse nelle mani; e rispondendo ella ch’erano addormentate, spasimava sì, che pareva morta; anzi diventò tutta nera, e non spirando divenne tutto ghiaccio, in maniera che da un piccol batter di polso in poi ogn’uno l’havria tenuta morta… Che di poi si veddero piaghe nelle mani, e ne’ piedi, che gettavano sangue. ”
In quell’estasi ella aveva rivissuto la passione di Cristo, il doloroso percorso verso il Calvario; aveva visto il suo Divino Maestro vittima distesa sulla croce mentre i carnefici, con ripetuti colpi, conficcavano nelle sue mani e nei suoi piedi gli accuminati chiodi. Gli atroci tormenti del Redentore si impressero così vivamente nella sua anima che lei pure stramazzò, come priva di vita, per aver voluto bere al calice della Passione ed essere unita al suo Signore in tutto, nella buona e nella cattiva sorte, nella vita e nella morte.
“Fu poi comandato alle Monache che non dovessero levar le dette piaghe senza licenza del Vescovo, o del Confessore; la qual licenza havendo di poi havuta; volendo levarle, nell’aprir le mani, s’accorsero, che dalle piaghe usciva una soavità, e odor tale, che mai si sentì il simile, e così è seguitato ogni mercoledì e venerdì.”
Dall’esperienza del Dio crocifisso, la cui umanità squarciata rivela la divinità la divinità come amore, Lucia passò all’esperienza del Cristo vivo, risorto, glorioso, presente nell’Eucarestia, altro elemento essenziale della sua spiritualità.
Di fronte al Santissimo Sacramento ella distinse l’effimero e l’eterno, l’illusorio e il permanente, lì si rese attenta alla Parola, docile alla presenza dello Sposo divino. In lei, dopo la Comunione Eucaristica, lo Spirito Santo cantava la dolce melodia che si sprigionava nei cuori amanti. Inenarrabili favori celesti le furono concessi nella comunione al Corpo a al Sangue del Signore. E ogni volta che l’espressione “questo è il mio corpo” pronunciato sugli uomini suoi fratelli. Infatti la riconoscenza al Signore Gesù per il pane sacramentale l’aprì ad una nuova fase della vita, la donazione di sé al mondo.
Nel periodo ferrarese, senza indugio, con il vigore dei suoi carismi e della sua intercessione, Lucia riuscì ad ammorbidire cuori induriti, a disarmare fazioni contrapposte, passioni disordinate e ambizioni, in mezzo ad oppressioni e incomprensioni, dando a tutti lezione di concordia e d’amore. La contemplazione, che la assorbiva interamente la rendeva attivissima e instancabile nel servizio del prossimo.
Sarà il futuro Concilio di Trento ad inasprire la clausura monastica e ad affievolire in qualche modo l’ideale apostolico che aveva caratterizzato fino ad allora tutta la corrente mistica delle donne.
Si, una spiritualità cristiana matura, adulta, non contrappone mai l’azione alla contemplazione, ma ne fa un tutt’uno, esaltando l’insegnamento rivolto da Gesù ai discepoli: “Senza di me non potete far nulla”.
Nell’ardore della carità la nostra Lucia continuò il suo cammino, beandosi delle estasi e delle penitenze, delle consolazioni e delle desolazioni, dei successi e delle umiliazioni, senza mai perdere di vista la volontà di Dio e il bene dei fratelli, fino al traguardo della pasqua eterna.
Ma la vita dei grandi maestri non si esaurisce con la loro morte. Della santa narnese rimane la reliquia preziosissima del suo corpo, la traccia luminosa della sua testimonianza scritta, l’esempio della sua esistenza, la stabilizzazione di un processo culturale esteso a varie regioni; rimangono i miracoli di lei, che perdurano ancora ai nostri giorni.
Non dimentichiamo dunque di invocarla con fede e di segnalare le grazie che ella ci farà. Mediante l’autenticazione ecclesiastica esse potrebbero sancire quella santità che nessuno ha mai osato mettere in dubbio, ma che necessità di una canonizzazione, per essere proposta dal Sommo Pontefice come modello per tutta la cristianità.

Don Roberto Tarquini, 1999

Preghiera 
Sii benedetto, Dio onnipotente ed eterno,
per aver manifestato la potenza del tuo amore nella beata Lucia da Narni,
testimone del vangelo, madre dei poveri, tua sposa fedele, protettrice nostra.
Ti chiediamo di ottenerci
per i meriti che ella acquistò, partecipando alle sofferenze di Cristo tuo Figlio,
questa grazia particolare…
Fa, ti preghiamo, che la sua intercessione ci ottenga quanto ella operò un dì:
converta i nostri cuori
ci faccia gustare la soavità della preghiera interiore, dell’unione con te.
Ci renda devoti celebranti, adoratori dell’ Eucarestia,
discepoli del Signore, capaci di generosità, di servizio, di coerenza, di premura verso l’umanità.
Fa che sappiamo essere operosi nella carità, attenti ai piccoli, agli anziani, agli ammalati
e scrivi anche il nostro nome, insieme a quello della Beata Lucia, nel libro della via.

Amen